La riforma digitale della P.A., ovvero “vorrei ma non posso” #riformapa
E’ stata finalmente varata la nuova legge riguardante la “Riforma della P.A.”, l’ennesima di fatto, ma come sempre molto attesa.
Ciò che ci ha colpito di più in realtà, sono i titoli dei quotidiani che all’indomani dell’approvazione della legge delega, riferendosi a questo o a quell’articolo in essa contenuto, mai citavano l’introduzione della nuova “P.A. digitale”. Strano, tenuto conto dell’importanza che il legislatore attribuiva a tale aspetto, finanche da riservargli giusto il primo articolo della norma.
E’ quindi legittimo chiedersi quali sono i motivi per cui l’attenzione dei giornalisti non sia stata catturata dalle novità riguardanti la riforma digitale della P.A.
Le ragioni possono essere diverse: forse nessuno crede che la P.A. sia in grado di essere rivoluzionata nel senso “digital first”, o forse a seguito della recente esperienza del c.a.d., ci si aspetta un’altra gravidanza decennale prima di veder dati alla luce i concreti decreti attuativi, oppure -- e ci sembra la motivazione più fondata -- l’art.1 della Riforma, titolato “Carta della cittadinanza digitale”, è semplicemente un tentativo poco coraggioso di alzare l’asticella della P.A. digitale e pertanto probabilmente non riuscirà ad introdurre alcun cambiamento sostanziale.
Già, un ulteriore tentativo poco coraggioso, per il quale il Governo ha scatenato tutto il suo potere comunicativo, e per esperienza vissuta, quando si spinge così tanto sulla comunicazione preventiva, di solito ci si ritrova con una fregatura (vd. FatturaPA).
Ma vediamo quali sono i motivi per cui la riforma digitale della P.A. orchestrata dall’art. 1 della legge delega ci sembra così debole:
Innanzitutto per l’uso di formule cautelative che di fatto tarperanno le ali al cambiamento: “…….anche attraverso l’utilizzo delle tecnologie ICT …….”, “ …….. riducendo la necessità di accesso fisico agli uffici pubblici ………”, tutte locuzioni della serie “vorrei ma non posso”.
Bene chi ha seguito l’iter parlamentare del disegno di legge 1577, la riforma della P.A. appunto, si sarà accorto come giusto questa parte dell’art. 1 sia stato stravolto. L’articolo, infatti, nella sua stesura iniziale prevedeva formule enormemente più incisive e risolutive, del tipo: “……assicurare la totale accessibilità on line alle informazioni e ai documenti in possesso delle amministrazioni pubbliche, ai pagamenti nei loro confronti, nonché all'erogazione dei servizi , con invio dei documenti al domicilio fisico ove la natura degli stessi non consenta l'invio in modalità telematiche……..”, formule che sono completamente sparite nella stesura finale approvata dal parlamento.
Altro aspetto che ci lascia perplessi sono le formule utilizzate dal legislatore nel tentativo di promuovere i “servizi on line”. Sempre all’art.1 infatti, la legge delega il governo a “ …. individuare strumenti per definire il livello minimo di sicurezza, qualità, fruibilità, accessibilità e tempestività dei servizi on line delle amministrazioni pubbliche ………….”. Tutto giusto, ma come mai nemmeno una parola di delega sull’individuazione delle tipologie dei servizi da rendere obbligatoriamente on line ? (A pensar male si fa peccato ma spesso ci si azzecca).
Ed infine forse l’aspetto più importante. Non può esserci riforma o rivoluzione senza l’intervento degli uomini che la conducono. Già, ammesso che ci fossero tutte le condizioni tecniche e normative necessarie, chi dovrebbe condurre questa “rivoluzione digitale” ? Saremo ripetitivi, ma mai come in questo caso i numeri (1) rendono palese la disfatta preannunciata di una riforma che non potrà mai veder la luce:
94 comuni su 100, con meno di 5.000 abitanti, non hanno un addetto ICT e/o un servizio autonomo;
solo il 6,3% dei dipendenti della PAL hanno seguito corsi di formazione ICT nell’anno precedente;
la PAL conta 1,3 addetti ICT ogni 100 dipendenti;
In realtà la legge qualcosa prevede, delegando il Governo alla ridefinizione delle competenze dell’ufficio dirigenziale previsto dall’art.17 del c.a.d., riferendosi così esclusivamente alle pubbliche amministrazioni centrali. Ma come ognuno dei lettori può rilevare guardandosi intorno, la stragrande maggioranza dei servizi è resa dai comuni che invece non sono minimamente presi in causa dalla norma.
In realtà molte azioni potevano essere previste per superare tali difficoltà, come la ricollocazione del personale in possesso di formazione specifica e destinato ad altre mansioni, o l’accorpamento dei servizi ICT tra Enti di piccole dimensioni, etc.
Invece nulla di tutto ciò è stato programmato, forse perché il piatto delle privatizzazioni è più allettante. E così stante le cose ancor più irridente appare l’art. 23 “…… dall’attuazione della presente legge e dei decreti legislativi da essa previsti non devono derivare nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica….”.
Fabio Puglisi
twitter: @fabiopuglisi
(1) Fonte Istat – 2012 LE TECNOLOGIE DELL’INFORMAZIONE E DELLA COMUNICAZIONE NELLA PUBBLICA AMMINISTRAZIONE