Il principio della flessibilità nella Pubblica amministrazione: condizioni, ragioni e interessi da tutelare

letto 8136 voltepubblicato il 28/08/2013 - 20:07 nel blog di Cristiana Panebianco, in Servizi innovativi per il lavoro

Nel decreto appena approvato dal Consiglio dei ministri relativo alle misure da adottare nella Pubblica amministrazione e,segnatamente, per la lotta all'eliminazione radicale del precariato, emerge un aspetto importante, da rilevare ed evidenziare almeno nei suoi tratti più salienti

Si tratta, infatti, della chiara intenzione di abbandonare la forma contrattuale del tempo determinato ovvero il contratto di lavoro a tempo così come oggi viene concepito anche attraverso le più recenti novelle legislative che lo hanno colpito: il decreto sopracitato dichiara senza indugio - e rafforza - il principio secondo cui il ricorso al lavoro flessibile nelle Pa è consentito soltanto per rispondere a delle esigenze che abbiano il carattere della temporaneità, eccezionalità ed emergenzialità

Dunque, solo in presenza di condizioni particolari si può ricorrere all'utilizzo di quella forma contrattuale e già la sola presenza di quelle condizioni ci rimanda alll'idea che ci sia un "organo controllante" quella presenza e laddove mancasse, giustappunto, si realizzerebbe l'applicazione della relativa sanzione

Ma facciamo un salto indietro nella "storia" dell'atteggiamento di questo principio in passato e dell'uilizzo - in facto - della forma di contratto a tempo di cui il tema della possibilità e dei limiti della conversione giudiziale della successione di rapporti a tempo determinato in un rapporto a tempo indeterminato è aspetto complemntare ed importante della questione medesima. Questo tema rientra, a sua volta, in quello più ampio concernente l’atteggiamento di apertura o chiusura dell’ordinamento nei confronti dell’utilizzo del contratto di lavoro a termine da parte delle amministrazioni pubbliche, atteggiamento che è mutato moltissime volte nel tempo sul piano delle previsioni normative, ma che nella realtà ha continuato sempre a creare sacche consistenti di lavoro precario con conseguenti forti aspirazioni alla stabilizzazione. La risposta a queste aspirazioni il legislatore l’ha voluta riservare a se stesso vietando ai giudici di stabilizzare i rapporti precari attraverso le loro pronunce

Questo “divieto” si inserisce attualmente nell’ambito di una complessiva disciplina costituita da diversi nuclei normativi che vanno ordinati secondo il sistema delle fonti indicato dall’art. 2, comma 2, del d.lgs. 30-3-2001, n. 165: per i rapporti di lavoro con le p.a. valgono innanzitutto le specifiche disposizioni contenute nel decreto stesso –ora dichiarate “disposizioni a carattere imperativo”- e, in secondo luogo, la disciplina generale dei rapporti di lavoro subordinato nell’impresa. Per quanto concerne i rapporti di lavoro flessibili, le regole specifiche sono rinvenibili negli artt. 35 e 36 del decreto 165/2001. Quella fondamentale prevede che le p.a., per le esigenze del loro fabbisogno ordinario, assumano esclusivamente con contratti di lavoro a tempo indeterminato, seguendo le debite procedure di reclutamento, mentre per rispondere ad esigenze temporanee ed eccezionali  possono avvalersi delle forme contrattuali flessibili di assunzione e di impiego del personale previste dalle norme sul lavoro nell’impresa, nel rispetto delle procedure vigenti e delle norme della contrattazione collettiva, cui viene affidata la specifica disciplina dei contratti flessibili, la quale deve dare “applicazione” alla rispettiva regolamentazione legale del settore del lavoro privato, senza poter derogare, però, alle norme contenute nel d. lgs. n. 165/2001

Queste sono le fonti del diritto speciale. In via residuale, per gli aspetti della materia non espressamente regolati dalle norme del lavoro pubblico, legali o di contrattazione collettiva, ai contratti flessibili possono applicarsi le regole che valgono per i rapporti di lavoro privatistici

Questa previsione è stata introdotta, nell’ambito della “seconda privatizzazione” del lavoro  pubblico, dall’art. 22 del d. lgs. n. 80/1998, che ha introdotto, nell’art. 36 del d. lgs. n. 29/1993, un comma 8°, per il quale “la violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego dei lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime, ferma restando ogni responsabilità e sanzione”; di fronte a questa chiusura si compensava il lavoratore attribuendogli il diritto al risarcimento del danno derivante dalla prestazione di lavoro resa in violazione delle disposizioni stesse, a cui si accompagnava –cosa tutt’altro che nuova- l’obbligo delle p.a. di recuperare quanto eventualmente pagato a tale titolo dai dirigenti che avessero effettuato le suddette violazioni con dolo o colpa grave

 

Per poter avvalersi del lavoro a tempo determinato le p.a. devono innanzitutto rispettare il limite sostanziale della presenza di esigenze temporanee ed eccezionali: e quindi, sia limitate nel tempo che imprevedibili e non ricorrenti. Si tratta, come si vede, di un limite molto ristretto, ben più rigido di quello posto nel settore del lavoro privato. Devono, poi, seguire le procedure per l’assunzione previste nell’art. 35 o in regole particolari. A questo rigore fa da contraltare la tenuità delle “sanzioni” conseguenti all’illegittimità dell’apposizione del termine al contratto di lavoro. Per il 5° co. dell’art. 36, in vero, “in ogni caso, la violazione di disposizioni imperative riguardanti l’assunzione o l’impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni, ferma restando ogni responsabilità e sanzione. Il lavoratore interessato ha diritto al risarcimento del danno

Questa diversità di regime rispetto al lavoro del settore privato è stata ritenuta dalla Corte Costituzionale rispettosa del principio di uguaglianza in considerazione delle peculiarità del lavoro pubblico quanto all’instaurazione dei rapporti di lavoro, che deve basarsi sul principio del concorso, a tutela non solo dell’imparzialità, ma anche del buon andamento dell’amministrazione e, quindi, un'estrinsecazione dell'articolo 97 della carta costituzionale

Ritornando all'apetto del controllo, implicito nella presenza delle condizioni legittimanti l'applicazione del contratto di lavoro a tempo, è compito dell'ordinamento giurisdizionale nelle sue declinazioni civilistiche e più francamente lavoristiche - a mezzo di ricorso di parte -  mentre, come abbiamo già sottolineato, la sanzione è ritenuta tenue