Quanto pesano le spese per il personale sui bilanci comunali? ForumPA e openbilanci.it hanno diffuso i dati della rilevazione
Quanto pesano le spese per il personale sul bilancio comunale? E, tenuto conto di tali spese, qual è il margine di manovra del Sindaco nella gestione del bilancio?
ForumPA ha diffuso i dati della rilevazione di openbilanci – www.openbilanci.it – sulle spese per il personale dei comuni italiani, mostrando quanto alcune spese siano vincolanti per la gestione di un’amministrazione pubblica.
Openbilanci analizza i bilanci dei comuni italiani attraverso diversi indicatori, come: autonomia finanziaria, capacità di previsione della spesa, capacità di riscossione, equilibrio di parte corrente, investimenti, spesa per il personale, velocità della spesa, rigidità della spesa, avanzo/disavanzo.
L’indicatore relativo alla spesa per il personale misura il costo del personale dell'amministrazione comunale rispetto al totale delle spese di gestione - spese correnti ed è calcolato in percentuale. Maggiore è la percentuale, più il comune sostiene spese per il pagamento dei propri dipendenti e quindi minore sarà la capacità di manovra e la flessibilità di gestione del bilancio.
Una classifica delle 110 città capoluogo restituisce la rappresentazione della situazione del nostro paese. Mediamente i Comuni presi in considerazione spendono fra il 30 e il 40% dei propri soldi in spese per i personale. Tra i Comuni più virtuosi abbiamo Carbonia (18,50%), Prato (17,63%) e L'Aquila che utilizza solamente il 10,70% delle proprie spese nella gestione del personale. Mentre chiudono la classifica Siena (42,75%), Ferrara (44,42%) e Agrigento. La città siciliana utilizza quasi la metà (48,96%) delle proprie uscite in spese per il personale. Riguardo ai grandi Comuni, Roma è al 16° posto (23,42%), Milano (24° - 25,22%) e Venezia (33° - 26,92%). Il Comune di Napoli si attesta invece al 102° posto (38,65%), Palermo (91° - 35,77%), Firenze (88° - 34,93%) e Torino (87° - 34,90%).
Ovviamente i dati vanno contestualizzati – ogni realtà possiede le sue tipicità - e non basta prendere in considerazione solo questo indicatore per trarre conclusioni definite. Lo scopo è mettere in evidenza che quando si presenta più alta la percentuale spesa per la gestione amministrativa del Comune, meno sarà lo spazio di manovra a disposizione del Sindaco e degli amministratori per cercare di modificare, in meglio o in peggio, il bilancio comunale.
- Blog di Donatella Imparato
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Il riparto delle spese tra i vari livelli istituzionali
A questo proposito è utile ricordare che dal dopoguerra vi è stata una progressiva crescita del ruolo delle amministrazioni periferiche nella gestione della spesa pubblica, con una quota relativa cresciuta dal 18% del 1951 al 31,6% del 2008 [Banca d'Italia, 2008].
Secondo i dati elaborati da Piero Giarda, tale aumento è stato trainato da tutte le tipologie di spesa, con l’unica eccezione delle pensioni e prestazioni sociali (rimaste competenza del “centro”). In particolare, in tale periodo è cresciuta l’incidenza degli investimenti pubblici finanziati a livello locale, che hanno raggiunto il 76,5% nel 2008, oltre i ¾ del totale [Giarda, 2011].
Tavola - Quota di spesa pubblica effettuata da Regioni ed Enti Locali (in percentuale)
Sotto il profilo dei bilanci, l’evento di maggiore rilievo è stato comunque il trasferimento alle Regioni della competenza in materia di tutela della salute, che fino al 1978 era interamente a carico dello stato e degli enti di previdenza. Questo è peraltro avvenuto in un contesto di aumento della spesa sanitaria, la cui incidenza sulla spesa pubblica è cresciuta dal 32,3 al 37,4% in meno di un ventennio, tra il 1990 e il 2008.
Tale incremento è stato peraltro quasi interamente compensato dalla riduzione della spesa per istruzione (+5,1% vs. – 4,8%), in uno scenario nel quale:
Fonti:
• Banca d’Italia (2008). Il debito pubblico italiano dall’unità a oggi. Una ricostruzione della serie storica
• Giarda P. (2011). “Dinamica, struttura e governo della spesa pubblica: un rapporto preliminare”, Quaderni dell’Istituto di Economia e Finanza N. 104 settembre. Milano: Università Cattolica del Sacro Cuore
Sul calcolo dei fabbisogni standard
I fabbisogni standard sono il perno del federalismo fiscale introdotto dalla legge 42/2009. Per ogni servizio pubblico viene definito il giusto costo inteso non come valore assoluto bensì come quota rispetto a un totale ipotetico, che sarà di volta in volta definito dal Governo sulle esigenze di bilancio.
Nella fattispecie dei 6.702 Comuni per i quali si applicano i fabbisogni standard, il totale dei Comuni vale 1 e ciascun ente ha un valore frazionale espresso con 12 decimali. In ciascuna ripartizione delle risorse dal 2014 in poi, si dovrà considerare i fabbisogni standard e soprattutto la differenza tra la spesa storica e il fabbisogno.
Sulla base delle tabelle elaborate dal Sose, viene fuori che il Comune che spende di più in Italia è Perugia. La città di Napoli, invece, risulta in eccesso di spesa ma solo perché sui capitoli “istruzione” e “asili nido” è stato seguito il criterio della spesa storica e non quello - certamente più corretto - degli effettivi bisogni dei cittadini.
Solo i costi standard potranno salvare il bilancio dello Stato, e ritengo che sarebbe ora di fare una approfondita verifica su come si spendono i soldi nelle PP.AA. centrali; visto che negli ultimi anni sono stati le Regioni e i Comuni a dover fare i sacrifici più duri.