Jobs act. I decreti attuativi del 24 dicembre u.s.

letto 4969 voltepubblicato il 27/12/2014 - 22:26 nel blog di Maria Fiore, in Osservatorio Spending Review

Il Consiglio dei Ministri del 24 ha approvato un della legge delega al Governo in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014. Ora si passa all’esame delle Commissioni.

Si tratta, come tutti ormai sappiamo, di una riforma in nuce del sistema di regole del mercato del lavoro, di un compromesso che viene più o meno criticato e diversamente valutato soprattutto per quanto concerne i diritti dei lavoratori, che dispiegherà i suoi effetti nell’immediato e la cui efficacia si spera possa essere misurata nei prossimi anni (o almeno al termine del prossimo) – ammesso che tale valutazione non sia inficiata dalla crisi. E’ anche, probabilmente, una riforma che da sola difficilmente potrà far ripartire l’occupazione (un peso determinante verrà svolto dalle politiche comunitarie per la crescita, dalle politiche economiche, fiscali e previdenziali nazionali), ma che si spera possa servire in tale direzione.

Con il decreto parte il nuovo contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti, con relative novità in materia di licenziamenti (articolo 18) e ammortizzatori sociali (con formula del “salvo intese”). L’obiettivo, dichiarato nella legge delega 183/2014 (comma 7, lettera b), è:

«promuovere, in coerenza con le indicazioni europee, il contratto a tempo indeterminato come forma comune di contratto di lavoro rendendolo più conveniente rispetto agli altri tipi di contratto in termini di oneri diretti e indiretti».

Per raggiungerlo, si è seguita una duplice strada: la defiscalizzazione contributiva inserita nella Legge di stabilità per le assunzioni a tempo indeterminato stipulate nel 2015 (che rende questa tipologia contrattuale più appetibile dal punto di vista economico per le imprese) e il decreto attuativo del Jobs Act appena approvato, che introduce il contratto a tutele crescenti.

Per quanto concerne gli sgravi contributivi, ai datori di lavoro privati, con esclusione del settore agricolo, che avvieranno nuove assunzioni con contratto di lavoro a tempo indeterminato, con esclusione dei contratti di apprendistato e dei contratti di lavoro domestico, a partire dal 1° gennaio 2015 verrà riconosciuto l’esonero dal versamento dei complessivi contributi previdenziali per un massimo di 36 mesi. E’ stata confermata l’esclusione dei premi e contributi dovuti all’INAIL e il limite massimo di un importo di esonero pari a 8.060 euro su base annua. La novità è che tale beneficio spetta solo con riferimento a contratti stipulati non oltre il 31 dicembre 2015.

Il nuovo contratto indeterminato a tutele crescenti prevede che, per i nuovi assunti, cambi definitivamente la disciplina dell’articolo 18. In pratica, il diritto al reintegro resta solo per i licenziamenti discriminatori illegittimi, mentre viene abolito per quelli economici (giustificato motivo oggettivo, come la crisi e la riorganizzazione aziendale) – per i quali la riforma Fornero aveva previsto una sorta di doppio binario (indennizzo economico o reintegro su decisione del giudice), sostituito da un indennizzo economico pari a 2 mensilità per ogni anno di lavoro, con un minimo di 4 e un massimo di 24. Niente opting out, ossia la possibilità per l’azienda (anche davanti a sentenza di reintegro del giudice), di reinserire il dipendente in organico pagando un indennizzo più alto. Era un’ipotesi di cui si era parlato nei giorni scorsi, ma che non rientra nel testo approvato (sarebbe stato eccesso di delega, ha spiegato il premier Renzi).

Anche per i licenziamenti disciplinari viene sostituito il reintegro con un indennizzo, tranne che nel caso in cui l’impresa lasci a casa un dipendente per un fatto insussistente. Prevista una sorta di procedura di conciliazione veloce, per cui il datore di lavoro può offrire una mensilità di ogni anno di anzianità, con un minimo di due (evitando di andare in contenzioso). 

Novità dell’ultim’ora: le nuove regole si applicano anche ai licenziamenti collettivi, non solo a quelli individuali, mentre – sembra - non si applichino agli statali.

ASPI

Il CdM del 24 dicembre ha anche iniziato la discussione su un’altra delega relativa al Jobs Act, quella sugli ammortizzatori sociali con la , l’assicurazione generale per l’impiego, che viene estesa a una platea più ampia (comprensiva dei collaboratori a progetto (forma contrattuale che però, quando sarà operativa l’intera riforma dei contratti, pare destinata a sparire) e che durerà temporaneamente 24 mesi (invece degli attuali 18).

 

L’art. 11 del decreto introduce il contratto di ricollocazione:

“È istituito presso l’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale il Fondo per le politiche attive per la ricollocazione dei lavoratori in stato di disoccupazione involontaria, al quale affluisce la dotazione finanziaria del Fondo istituito dall’articolo 1, comma 215, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, in ragione di 18 milioni di euro per l’anno 2015 e di 20 milioni di euro per il 2016 nonché, per l’anno 2015, l’ulteriore somma di 32 milioni di euro del gettito relativo al contributo di cui all’articolo 2, comma 31, della legge 28 giugno 2012, n. 92.

Il lavoratore licenziato illegittimamente o per giustificato motivo oggettivo o per licenziamento collettivo di cui agli articoli 4 e 24 della legge 23 luglio 1991 n. 223, ha il diritto di ricevere dal Centro per l’impiego territorialmente competente un voucher rappresentativo della dote individuale di ricollocazione, a condizione che effettui la procedura di definizione del profilo personale di occupabilità, ai sensi del D.lgs. attuativo della legge delega 10 dicembre 2014, n. 183, in materia di politiche attive per l’impiego.

Presentando il voucher a una agenzia per il lavoro pubblica o privata accreditata secondo quanto previsto dal D.lgs di cui al comma 2, il lavoratore ha diritto a sottoscrivere con essa il contratto di ricollocazione che prevede:

  • il diritto del lavoratore a una assistenza appropriata nella ricerca della nuova occupazione, programmata, strutturata e gestita secondo le migliori tecniche del settore, da parte dell’agenzia per il lavoro;
  • il diritto del lavoratore alla realizzazione da parte dell’agenzia stessa di iniziative di ricerca, addestramento, formazione o riqualificazione professionale mirate a sbocchi occupazionali effettivamente esistenti e appropriati in relazione alle capacità del lavoratore e alle condizioni del mercato del lavoro nella zona ove il lavoratore è stato preso in carico;
  • il dovere del lavoratore di porsi a disposizione e di cooperare con l’agenzia nelle iniziative da essa predisposte.

L’ammontare del voucher è proporzionato in relazione al profilo personale di occupabilità di cui al comma 2 e l’agenzia ha diritto a incassarlo soltanto a risultato ottenuto secondo quanto stabilito dal D.lgs. di cui al comma 2.”

In questo modo «per la prima volta si tenta di abbinare il tema della flessibilità in uscita e della perdita del lavoro al diritto a ottenere forme di accompagnamento a un nuovo traguardo lavorativo. E per la prima volta si prende atto che devono essere lo Stato o soggetti specifici destinati a questo scopo, e non l'impresa, a farsi carico della fase di passaggio tra un lavoro e l'altro. … Il nuovo diritto all'impiegabilità passa dal contratto di ricollocazione e dalla nuova Aspi. La logica è semplice: se l'impresa licenzia c'è il welfare state di un Paese moderno che si prende in carico chi perde il posto e cerca di facilitarne la ricollocazione con formazione mirata e attività di assistenza nella ricerca di una nuova opportunità di lavoro mentre gli garantisce forme di sussidio al reddito. C'è una indennità unica e universale, finanziata da tutti e reversibile se chi cerca un lavoro rifiuta il posto che gli viene offerto; c'è un sistema di voucher legato al contratto di ricollocazione che “remunera” le agenzie impegnate a ricollocare i disoccupati.

La riforma completa (e rivede) la parte negletta della precedente riforma Fornero… Spostare l'attenzione sulla necessità di creare una rete efficiente per far incontrare domanda e offerta e gestita dalla stessa entità responsabile delle erogazioni degli assegni di sussidio è un indubbio passo avanti. Ora è cruciale che sia conseguente la dotazione finanziaria per far funzionare la nuova Agenzia nazionale. Ed è auspicabile che non si debba registrare l'ennesimo contrasto tra Regioni - oggi titolari delle poco efficienti agenzie per l'impiego - e potere centrale: questa modifica del resto impatta anche il Titolo V della Costituzione così come rivisto dopo l'ubriacatura federalista.

Colpisce, per tonare alle conseguenze immediate della riforma, come il contratto di ricollocazione - per i misteri della stesura finale del decreto delegato - rischi di essere possibile per chi abbia deciso di fare ricorso contro il licenziamento, ma non per chi abbia concluso un accordo sul proprio licenziamento o abbia accettato la conciliazione o ancora abbia evitato di impugnare davanti al giudice il recesso. L'intento del legislatore è di evitare che questo beneficio diventi disponibile per chi sia stato licenziato per gravi motivi, ma se non sarà riformulato rischia di penalizzare chi abbia rinunciato ad atteggiamenti conflittuali. È il caso che nella discussione per il parere delle Camere questo tema venga affrontato con la giusta luce.

Così come meriterà una nuova riflessione anche il tema della nuova forma di conciliazione, snodo cruciale per la gestione delle nuove fasi di flessibilità in uscita e per ridurre il (serio) rischio di aumento delle vertenze davanti al giudice. L'indennità “alla tedesca” (mutuata dalla riforma Hartz) offerta in sede di conciliazione e variabile da 2 a 18 mensilità esenti da tasse e da contributi sembra escludere - sempre per effetto delle stesura ministeriale dell'ultimo minuto - la trattativa individuale. Perché questa stessa modalità viene incardinata alle sedi proprie degli accordi sindacali amministrativi o giudiziali. La trattativa individuale doveva essere il canale privilegiato in nome della cosiddetta “disintermediazione” sociale perseguita dal Governo Renzi. Ma non sarà così. Tuttavia finora la conciliazione più efficiente è stata quella condotta da imprese e sindacati. Che a questo punto hanno l'occasione di dimostrare i loro effettivi sforzi di modernizzazione delle relazioni industriali e la loro reale volontà di imboccare la strada - molto responsabilizzante - scelta a suo tempo dai loro colleghi tedeschi.» (il testo virgolettato è tratto dall’articolo Jobs act, se il diritto al lavoro si chiama occupabilità di Alberto Orioli, pubblicato su Il Sole 24 Ore del 27 12 2014)

 

Fonti: PMI.it. Il Sole 24 Ore, Il Corriere della Sera, governo.it