Appalti, le dimissioni dell'amministratore corrotto non giustificano la revoca degli arresti domiciliari
Ai fini dell’applicazione della misura cautelare degli arresti domiciliari è rilevante la concreta possibilità che l’amministratore indagato per il reato di corruzione possa continuare ad interferire, di fatto, nelle scelte operative dell’impresa appaltatrice. È questo il principio affermato dalla sesta sezione della Cassazione penale con
una sentenza depositata il 3 dicembre 2018.
Il caso
Il Tribunale di Bari dispone l’applicazione, a carico del titolare di un’impresa operante nel settore degli appalti pubblici, della misura degli arresti domiciliari in sostituzione dell’originaria misura del divieto di esercitare imprese per la durata di un anno. La misura cautelare viene disposta, in particolare, in quanto il soggetto indagato era stato accusato di avere corrisposto, quale amministratore di due società, denaro ed altre utilità a favore di un alto funzionario di ARCA Puglia Centrale, finalizzati al compimento di atti contrari ai doveri di ufficio nell'ambito dell’appalto di alcuni lavori di costruzione e ristrutturazione di alloggi di edilizia residenziale pubblica da realizzare in due quartieri baresi.
L’indagato impugna il provvedimento di comminazione degli arresti domiciliari, lamentando che il Tribunale non aveva debitamente valorizzato le intervenute dimissioni dell’indagato da una delle due società, dimissioni che avrebbero determinato una scissione formale e sostanziale tra l'indagato e le sue aziende: tale sottovalutazione
avrebbe comportato una erronea valutazione circa la sussistenza del concreto pericolo di reiterazione dei fatti di reato. Al contrario, a seguito delle dimissioni rassegnate dagli incarichi in precedenza svolti preso le società, l’indagato era divenuto - secondo la tesi difensiva - un soggetto completamente estraneo rispetto alle questioni
aziendali, non svolgendo alcun ruolo al quale potesse essere collegata la qualità di “amministratore di fatto” che il Tribunale aveva invece affermato. I rapporti intercorsi con l’alto funzionario di Arca Puglia erano inoltre risalenti nel tempo, e tale decorso del tempo avrebbe dovuto essere valorizzato alla luce della complessiva condotta di vita
dell'indagato nonché tenuto conto del complessivo giudizio sulla sua personalità.
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