Lavoro in Italia: più occupati ma sottopagati e in fuga all’estero, la fotografia che preoccupa

E’ ufficiale. Il lavoro in Italia ha superato la crisi ma a che prezzo? Sono sempre di più gli occupati ma anche i sottopagati e cresce chi preferisce fuggire all’estero piuttosto che lavorare in un paese che offre condizioni precarie. Rispetto al 2008, nel 2018 risultano 125.000 occupati in più ma si tratta di  posizioni “a bassa intensità lavorativa”. Di contro cresce la sottoccupazione.

‌A dirlo il rapporto "IL MERCATO DEL LAVORO 2018: VERSO UNA LETTURA INTEGRATA“ di Istat, Inps, Inail, Anpal e ministero del Lavoro. ( )

Il paradosso del lavoro in Italia

Cresce dunque la quantità ma cala la qualità. E’ questo che emerge con maggiore forza dal rapporto. Il responsabile delle statistiche Istat Roberto Monducci fa notare che “La quantità di lavoro utilizzato è ancora inferiore ai livelli precrisi e rispecchia la tendenza del Pil”. Nel 2018, precisamente nel secondo trimestre, i lavoratori dipendenti erano 18 milioni mentre i lavoratori indipendenti erano in calo con meno di 5,3 milioni, un trend rafforzato nel quarto trimestre con una leggera crescita dei lavoratori dipendenti permanenti.

Il problema della sottoccupazione

D’altro lato crescono la sottoccupazione del 2,5% e la fughe all’estero. Solo nel 2018 il 18,8% dei dottori si è trasferito all’estero. Nel 2008 erano state 40mila le fughe contro 117mila del 2017. A questo va aggiunto anche il crollo delle ore lavorate, -1,8 milioni in 10 anni, a causa dell’alto numero di impiegati sottoccupati e sovraistruiti. Il problema dei lavoratori sovraistruiti è reale come fa notare il rapporto “sia in virtù di una domanda di lavoro non adeguata al generale innalzamento del livello di istruzione sia per la mancata corrispondenza tra le competenze specialistiche richieste e quelle possedute”. Cresce anche il numero di lavoratori che vorrebbero fare più ore ma sono impossibilitati. Sono aumentati anche i posti occupati da stranieri, disposti ad accettare lavori a bassa specializzazione e condizioni precarie.

L’Italia rimane sempre indietro rispetto alla media Ue, con un tasso del 58% contro il 67,9% Ue.

Un gap occupazionale che riguarda soprattutto i lavori qualificati e i settori sanità, istruzione e pubblica amministrazione.

Interessante anche il profilo del primo lavoro secondo il rapporto ‘Il mercato del lavoro 2018’: “L’età media al primo ingresso è di circa 22 anni, nel 55% dei casi si tratta di uomini. Su 100 primi ingressi, oltre 50 si registrano nel Nord, 20 al Centro e 30 nel Mezzogiorno; 80 sono riferiti a cittadini italiani e 20 a stranieri. Il contratto a tempo determinato è il più utilizzato al primo ingresso (50%), seguito da apprendistato (14%) e lavoro intermittente (12%). Solo il 9% avviene con contratto a tempo indeterminato o in somministrazione e il 4% nella forma di collaborazione”. Per i giovani i lavori più comuni sono i camerieri, i commessi, i braccianti agricoli, i lavori esecutivi d’ufficio. Il 54,9% poi non riesce a tenersi quel lavoro a distanza di un anno. Il tasso di permanenza è elevato per i lavori che presuppongono competenze medio alte. Una situazione che va cambiata assolutamente per evitare un disastro già annunciato.

E’ chiaro che il problema principale sta nel mancato incontro tra offerta e domanda di lavoro, tra il titolo di studio conseguito e quello più richiesto dalle imprese per un certo tipo di lavoro.

(Fonte: )